Può un tarallo - un semplice e gustoso tarallo - essere metafora imprenditoriale della vita? La pingue ricchezza dei suoi ingredienti, rappresenta il bagaglio esperienziale che raccogliamo sulla nostra strada. Il pepe è il brio, la sugna è la felicità, la mandorla l’amaro che a volte la vita ci presenta. La circolarità della forma rappresenta i corsi e ricorsi delle nostre vite, in un “anello” vichiano, che alle cadute fa succedere la redenzione. Il buco, quando riesce, rappresenta la capacità di guardare al futuro, di averne una visione chiara, nitida.
Amiamo il tarallo sugna e pepe, al punto da dedicargli questo racconto.
Perché si può creare il buono pur avendo a disposizione poco.
LA STORIA DEL TARALLO SUGNA E PEPE
La saggezza partenopea, più di una volta, ha istituzionalizzato tratti della nostra cultura. Chi di noi non ha mai goduto della vista del golfo, con le sue luci e il suono del fluire delle onde, in compagnia di una bionda (ci riferiamo alla birra) e di un gustoso e caldo tarallo? Le mille sfaccettature dello street food di casa nostra.
Ciò che la nostra saggezza di strada ha reso paradigmatico, in realtà nasce sempre dal basso, dal popolo.
Il tarallo sugna e pepe è il tentativo di offrire un delizioso e friabile pasto completo. L’unione di ingredienti semplici, dal grande apporto energetico, faceva sì che il popolo, con poco, potesse soddisfare una primaria necessità: il nutrirsi.
Dal punto di vista squisitamente etimologico, catturano la nostra attenzione alcune radici lessicali.
I verbi latino “torrere” e, francese “toral”, ovvero abbrustolire, essiccare. A questi, dobbiamo aggiungere l’etimo più probabile - riferimento di origine greca -, vale a dire il termine “doratos”, ovvero una sorta di pane.
Quale che sia l’origine lessicale, è indubbio che i primordi di questa storia, sono da ricercarsi tra i vicoli settecenteschi della Napoli borbonica. Allora come oggi, le mani sapienti dei panificatori, manipolavano gli “avanzi” dei giorni precedente, dando vita al friabile e gustoso tarallo.
Dall’embrione di questa storia, si dipanò una saga che lunga oltre due secoli che, dai tarallari con le ceste – venditori del gustoso “oro dei vicoli” – arriva fino ai moderni chioschi di Mergellina.
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